Van Gogh. Il suicidato della società

18,00

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182 pp.
1988

«Come un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno», la società suicidò van Gogh. Non fu dunque il pittore a soccombere a un suo delirio, ma un delirio ben più vasto e maligno, l’affatturamento capillare che è la prima opera della società stessa, a farlo soccombere. Non si creda, però, che qui Artaud anticipi le innumerevoli accuse alla società cattiva e oppressiva che hanno ammorbato i nostri anni. Artaud, come sempre, è ben più radicale. Non gli basta il predominio di una classe sull’altra, o la malvagità del denaro, per inchiodare la società. Ma è la magia nera della società stessa, l’universale fattura che essa fa agire su tutti a essere chiamata qui da Artaud con il suo nome. È questa la prima e insuperata forma di «crimine organizzato» che ci governa. Van Gogh, e come lui Gérard de Nerval, o Artaud stesso, stavano per sottrarsi alle maglie di quella fattura, ma ne furono alla fine catturati di nuovo, come vittime preziose, di cui spartirsi le spoglie. Un anno prima di morire, nel 1947, Artaud affrontò van Gogh, raccontando la sua «funebre e rivoltante storia di garrottato da uno spirito malvagio», e illuminando con la luce barbagliante delle sue frasi spezzate ciò che significa la maledizione dell’artista, il nemico occulto del suo opus: «In fondo ai suoi occhi come depilati, da beccaio, van Gogh si abbandonava senza tregua a una di quelle operazioni di oscura alchimia che hanno preso la natura per oggetto e il corpo umano per marmitta o crogiolo».