New York, autunno 1978. Giovedì sera, alle otto spaccate, Robert Mapplethorpe, elegante e sfrontato nella sua giacca di pelle nera, scende le scale e fa il suo ingresso nella sala principale del famigerato Mineshaft, il brulicante club sotterraneo per soli uomini tempio e ricettacolo di ogni forma di perversione. È il decennio famelico e scintillante dell’emancipazione gay: arte e sesso sono legati a doppio filo e il pronostico warholiano sui quindici minuti di celebrità è un imperativo esistenziale. Mapplethorpe, il fotografo scandaloso e provocatorio per eccellenza, brandisce la sua Hasselblad come fosse un revolver e mira dritto al lato oscuro di quegli anni, di cui è insieme testimone e protagonista: nudi statuari o corpi fasciati in latex e corde, scene leather e pratiche feticiste, fino agli autoritratti luciferini. Un “fuorilegge” venuto dall’Inferno, che ha preso d’assalto i dogmi della società americana e diventato, nonostante i tentativi di censura, uno tra gli artisti più acclamati del Ventesimo secolo dopo la sua morte per AIDS nel 1989. Questa di Jack Fritscher – amante e compagno di Mapplethorpe alla fine degli anni settanta e direttore della prima rivista che pubblicò le sue controverse immagini – non è una biografia in senso stretto: è il ritratto di un’epoca dal cuore selvaggio, raccontata nei suoi estremi e bizzarrie attraverso una scrittura sincopata, ironica, fatta di dialoghi fulminei e ritratti allucinati.
Ma è soprattutto un collage intimo e personale di ricordi, incontri, amori, vizi, ossessioni, malattie, amicizie illustri, divagazioni liriche, scene di vita quotidiana e cronache audaci, che lascia emergere il profilo di un uomo vulnerabile, di purezza cristallina e allo stesso tempo ambizioso e spavaldo, sempre intento ad alimentare la mistica della sua immagine pubblica. Robert Mapplethorpe amava il rischio, nella vita e nell’arte, e rincorrendo il pericolo, ha fatto della sua stessa esistenza una sequenza di “scatti perfetti”.