Avversare è volgersi verso qualcuno o qualcosa contro (in un combattimento, in un gioco, in una discussione, in un processo…), ma è anche prendere le distanze da una posizione, da una teoria come da una pratica. L’etimologia dell’avversario implica quindi una logica di fronteggiamento: l’esser rivolto contro dischiude però paradossalmente il legame costitutivo dell’interazione fra antagonisti. Questo incrocio di sguardi fa dell’interazione conflittuale un luogo privilegiato di produzione di mascheramenti, mimetizzazioni, ma anche parate, ostentazioni, minacce, intimidazioni. L’avversario prende corpo sia inseguendo accanitamente progetti dell’Eden, sia lasciando prosperare immani miserie, mancanze, accantonandole in un altrove, che poi ritorna. È la misura (avversativa) della difficile ricerca di un equilibrio. Il termine ricorre in innumerevoli biografie nella storia dell’architettura, delle arti, del pensiero, delle scienze, della politica, certo a volte si assiste a inversioni: alcuni noti avversari sono diventati poi seguaci e viceversa.