Nella visione dominante il carcere rappresenta uno strumento indispensabile al corretto funzionamento della società. Il suo ruolo di istituzione d’ordine ne garantisce la longevità e l’immutabilità, rendendo sostanzialmente impossibile metterne in discussione l’esistenza. In realtà, una volta dismesse le lenti deformate attraverso cui guardiamo il sistema detentivo, possiamo renderci conto che quest’ultimo, oltre a essere uno spazio di segregazione e violenza, è produttore di insicurezza sociale. Non soltanto poiché per molti detenuti il carcere si trasforma in “una scuola a delinquere”, ma soprattutto perché, costituendo la risposta principale alla marginalità, esso diventa uno scudo dietro cui nascondere la completa latitanza dello stato nelle politiche sociali. Questo libro ricostruisce l’origine dell’istituzione detentiva: lo fa mostrando la sua reale funzione e analizzando la composizione e la condizione della popolazione reclusa, mostrando il carcere per quello che è realmente. Di fronte a questa fabbrica di pregiudizio, sofferenza e ingiustizia, l’abolizionismo ci appare l’unica autentica alternativa.