«La mia è arte politica. Quello che faccio è mostrare pubblicamente la violenza del potere. Parlo di quello che si nasconde dietro la messa in scena della “preoccupazione per la sicurezza”. Sono gli apparati a esercitare violenza.»
Il 23 luglio 2012 un uomo compare di fronte alla cattedrale di Kazan’, a San Pietroburgo. La sua bocca è cucita da un filo che penetra nella carne, serrando il labbro superiore e quello inferiore: è l’artista Pëtr Pavlenskij. Il suo corpo riappare ostinato negli spazi pubblici della Russia di Putin: nel maggio 2013 Pavlenskij è nudo, avvolto nel filo spinato, davanti al Parlamento di San Pietroburgo; a novembre si inchioda i genitali al selciato di fronte al Cremlino durante la Festa della polizia. Nell’ottobre 2014, seduto sul muro di un ospedale psichiatrico, si recide il lobo dell’orecchio destro. Nel novembre 2015 incendia il portone del quartier generale dei servizi segreti.Seguono complotti giudiziari, scandali e arresti che non fanno che amplificare la forza delle sue azioni, perché se i suoi materiali non sono che un corpo, del filo spinato o una tanica di benzina, a creare il significato delle sue opere contribuiscono lo sconcerto del pubblico, le violenze dei poliziotti, il clamore dei giornali. Oggi di quel processo entra a far parte questo libro, terminato in carcere, in cui Pavlenskij racconta la sua arte politica, scandalosa e inarrestabile.
«Il 10.11.2013 dalle ore 13 alle ore 14, sulla Piazza Rossa, Pëtr Pavlenskij, privo di vestiti, allo scopo di mettere in atto un brutale disturbo dell’ordine pubblico, che esprime un evidente disprezzo della società, avendo come movente l’odio politico e ideologico, in una pubblica piazza ha inchiodato alla pavimentazione, per mezzo di un martello, il proprio organo sessuale.»