Questa riflessione antropologica sulla storiografia parte dalla madre di tutte le storie, La guerra del Peloponneso di Tucidide, e con un’operazione alquanto «ardita» la mette in parallelo a una guerra lontana nel tempo e nello spazio, La guerra della Polinesia. Benché la prima sia avvenuta in Grecia nel V secolo a.C. e la seconda a metà Ottocento nel Pacifico, le similitudini non mancano, a partire dal fatto che in entrambi i casi lo scontro era tra una potenza terrestre (Sparta in Grecia, Rewa nelle Figi) e una potenza marittima (Atene in Grecia, Bau nelle Figi). Da qui Sahlins prende le mosse per trovare altri parallelismi, analizzando i rispettivi sistemi di potere e la compresenza di attori individuali (i «grandi uomini») e attori collettivi (i popoli). E grazie ad alcune incursioni in ambiti inaspettati – una famosa partita di baseball giocata nel 1951, il caso di un bambino naufrago conteso tra USA e Cuba – dimostra, in un’efficace alternanza di narrazione e analisi antropologica, quanto sia cruciale riconoscere lo stretto rapporto esistente tra ordine culturale e contingenza storica… con buona pace di Tucidide che troppo spesso non lo ha fatto.