«Comunisti, africani e barcamenosi», «La ceramica delle tenebre», «I container impassibili», «Per ritardato arrivo dell’aeromobile», «Il rituale per fare una casa sumera». Per raccontare il mondo di Ettore Sottsass, a volte basterebbero i titoli che sceglieva per i suoi – diversissimi – testi. E se di qualsiasi altro autore sarebbe naturale dire che gli scritti apparsi dopo i trent’anni segnano il passaggio alla maturità, nel suo caso la frase finisce inevitabilmente per suonare vuota. Vero, dai primi anni Sessanta Sottsass comincia a pensare, e a scrivere, come il grande architetto e designer che sta diventando, sui suoi amori, canonici e no, dal Bauhaus al Teatro Nō, sul suo mestiere, sul mondo irrequieto in cui si trova a esercitarlo. Ma intanto viaggia – in Grecia, in India, in Egitto –, progetta, sperimenta, fotografa, ogni volta muovendosi, come fosse la prima, in una direzione irresistibilmente eccentrica. Per i numerosi cultori dell’ovvio e del programmatico viaggiare con lui può non essere facile: per tutti gli altri, è un’esperienza che non si dimentica.