Da alcuni decenni il tema dei discorsi d’odio è entrato prepotentemente all’interno del dibattito pubblico. Un fenomeno preoccupante e pericoloso che a lungo è stato affrontato soltanto sul piano giuridico con risultati piuttosto deludenti. Non basta infatti condannare legalmente l’hate speech per fermarlo, e soprattutto non si può affrontare un certo tipo di linguaggio solo nel momento in cui esprima in modo esplicito tesi discriminatorie o propositi violenti. Servono interventi culturali e sanzioni sociali che colpiscano tutti quei discorsi che riproponendo pregiudizi, luoghi comuni, false informazioni diffondono, più o meno direttamente, la cultura dell’odio verso minoranze e gruppi oggetto di oppressione. Per fare ciò risulta indispensabile il ruolo della storia, disciplina capace di analizzare criticamente i discorsi d’odio, mostrare i loro aspetti ricorrenti, svelarne gli aspetti mistificatori e soprattutto dimostrare come la diffusione di stereotipi e preconcetti che potrebbero sembrare banali o inoffensivi possano risultare gravidi di conseguenze. In questo testo, dopo aver analizzato l’origine del pregiudizio “etnico-razziale” e la sua trasformazione in vera e propria ideologia razzista, approfondiamo alcuni casi specifici di hate speech. Casi che differiscono per epoca, supporto comunicativo, collocazione geografica, autori e contesti, ma che presentano dei cliché ricorrenti che, confutati sul piano dei fatti storici, ci permettono di comprendere come il discorso razzista, ancora oggi, si nutra dei medesimi leitmotiv.