Seguendo la logica della definizione per coppie di opposti (leggero/pesante, faceto/serio) in questo volume Massimo Minini analizza e affianca i due artisti che sono diventati simbolo dell’arte della Germania a cavallo dei due millenni: Anselm Kiefer e Hans-Peter Feldmann. Da un lato Kiefer, erede perfetto di un’arte che ha radici profonde nell’espressionismo, nell’espressione di sentimenti e stati d’animo che, tra Jung e Freud, tra Wagner e Goethe, tra Hans Baldung e Lukas Cranach, non possono non essere profondi, pesanti, impegnati. Kiefer risuscita fantasmi mai sopiti, dà corpo a una grandeur anche nei temi, nei formati, nei materiali (fili spinati, cavalli di frisia, campi arati in lunghe prospettive e dove la materia risulta spessa e pesante, quasi scultorea). Dall’altro Feldmann, che la prende alla leggera, ci dice che l’arte è sì una cosa seria, ma che non bisogna drammatizzare. Questo curioso, ironico, a volte ridicolo signore tedesco è un artista concettuale della prima ora ma meno grave dei suoi colleghi, tanto che all’epoca pochi lo presero sul serio, al punto che nei primi anni ottanta, constatato il fallimento, Feldmann decise di non fare più l’artista e per una decina d’anni cambiò mestiere. Ma un giorno Kaspar König gli offrì una mostra a Francoforte e tutto si rimise in moto, fino alle celebrazioni e il successo degli ultimi anni. Nell’incontro-scontro tra questi due emblemi di opposte attitudini ritroviamo l’immagine complessa della cultura visiva di una nazione.