È estremamente significativo, vent’anni dopo, riflettere sulle narrazioni mediatiche che hanno accompagnato il G8 di Genova, poiché il modo in cui la maggior parte degli organi di informazione ha descritto il movimento contro la globalizzazione e i fatti di quei giorni ha avuto ripercussioni durature. Le parole d’ordine, il sensazionalismo e l’attenzione selettiva utilizzati all’epoca hanno creato un’immagine distorta e stereotipata di coloro che si opponevano al sistema dei “grandi otto”. Si sono così gettate le basi per un pericoloso modello di rappresentazione dei movimenti sociali che si è poi ripetuto nel tempo. Questa prassi, oggi come allora, ha il compito di creare un clima ostile, ostacolare la comprensione profonda delle rivendicazioni avanzate e in ultimo, come accaduto a Genova, giustificare una violenta repressione. “Il linguaggio della tensione” si pone l’obiettivo di dimostrare attraverso un’accurata indagine delle fonti che la ricostruzione mediatica del G8 di Genova ha travisato i fatti, insabbiato le violenze, deformato il movimento. Le ragioni della protesta, così come il punto di vista di quella dirompente marea umana che ha dato vita a quella stagione di lotte e rivendicazioni, sono state espulse dalla narrazione dominante. La ricostruzione di quelle giornate, allo stesso tempo drammatiche e straordinarie, può quindi essere utile a rompere un ciclo di manipolazioni mediatiche che da allora non ha smesso di funzionare. Per costruire una società in cui le voci che si levano dal basso siano ascoltate e comprese senza pregiudizi. Solo allora potremo affrontare le sfide del nostro tempo e portare a termine la lotta del movimento dei movimenti.