L’esercizio della poesia ha segretamente accompagnato Tartaglia lungo tutto l’arco della sua esistenza, dall’infanzia-adolescenza sino alla morte. Ed è quest’opera immensa – composta di circa settemila testi, quasi del tutto ignoti, di cui si propone qui la prima scelta antologica – a custodire il volto nascosto dell’«uomo della novità», di colui che annunciava la «novità pura e totale oltre questa realtà, irrealtà, soprarealtà», oltre «la cupola troppo facile del divino», e dunque un «puro irriferito» che non si può definire ma solo trovare per via negativa. Negli scritti poetici, infatti, la parola non è bloccata, come nota Marchetti, «al punto morto in cui si è spinto il pensiero», ma aderisce al pensiero nel suo stato nascente.
La tensione religiosa che domina anche questi temerari Esercizi di verbo, splendidamente isolati nel panorama della letteratura italiana del Novecento, è insieme dolore insanabile, confronto protervo, spasimo conoscitivo, furia epigrammatica (che colpisce anche alcuni illustri autori dell’epoca). E il linguaggio, spesso abrupto, contorto, esacerbato – nella mescolanza di comico e tragico, sublime e triviale –, attinge talvolta alle più remote radici della nostra tradizione poetica, spingendosi fino al limite estremo dell’afasia: «Balbettando, dico. Balbettando, annuncio. Balbettando, proclamo».