La commedia di costume che l’autore mette in scena ha per protagonista la borghesia media e alta della capitale, della provincia, ma anche delle città industriali del Nord, rappresentata nella sua dimensione quotidiana di piccole viltà, compromissioni, sogni, velleità. I suoi personaggi rimangono spesso ancorati a una trepidazione di eterni adolescenti, protesi nello sforzo di afferrare un brandello di vita, poco favoriti dalle rivincite del caso o dell’imprevisto; la Storia, nei suoi momenti più epici e memorabili, li lambisce appena, cogliendoli impreparati. In quella zona grigia dove il singolo individuo si nasconde dalle vicende collettive si dispiega tutta la modernità di Fonzi narratore: come in quei racconti ambientati tra la fine della guerra e la Liberazione, dove il confine tra eroi, vittime e colpevoli appare assai labile e confuso. Ampio è il ventaglio delle situazioni e dei tipi umani che l’autore delinea: dalle atmosfere campestri, dove il richiamo della natura è minacciosa sensualità, ai ritrovi di giovani intellettuali nei caffè di una Roma appena liberata e ancora attonita; dalla rappresentazione del mondo cittadino dei diseredati alla satira sottile dei riti mondani. La realtà, sembra voler dire Fonzi, è un rifrangersi di equivoci, un teatrino delle illusioni che produce uno spettacolo sempre nuovo, beffardo, esilarante, crudele. Con un saggio di Massimo Raffaeli.