In Omero, Zeus assegna i destini agli uomini attingendo da due orci posti accanto a sé, uno colmo di beni e l’altro di mali. Questa mescolanza determina il corso della vita umana, che non deve, non può essere interamente felice: la felicità è un privilegio esclusivo degli dèi, e l’uomo che supera, anche senza volerlo, il limite invisibile assegnato ai mortali viene colpito con tanta maggiore spietatezza quanto più si è spinto in alto nella scalata al cielo. È questa la cosiddetta «invidia degli dèi», ben nota come formula, spesso fraintesa nel suo significato profondo. Com’è possibile che gli dèi provino invidia per gli uomini? Come può chi ha tutto e ha potere su tutto nutrire un sentimento così tipico della meschinità umana? Dal confronto con divinità poco compassionevoli, e dal sentirsi fuori posto in cielo e in terra, nasce la saggezza greca arcaica, che ha posto temi e problemi con i quali tutto il pensiero religioso, filosofico e politico dei secoli successivi si è dovuto misurare. Attraverso le vicende esemplari di Prometeo, Creso, Policrate, Serse, Agamennone, si ricompongono le molte facce di una visione etica e sociale inquieta, avvincente per chi crede che il modo migliore per conoscere e comprendere uomini tanto lontani nel tempo sia, prima di tutto, quello di ascoltare le loro storie.