«Ormai la storia contemporanea non si scrive più pensando alle esperienze dei sopravvissuti, ma contando il numero dei morti.» I corpi smembrati e torturati, il sangue e i cadaveri sono un elemento della realtà quotidiana del Messico e dei luoghi di confine tra Nord e Sud del mondo, ma sono anche una merce di scambio e un prodotto brutale del capitalismo globale e della cultura iper-consumista che ha diffuso. Mentre il prodotto criminale lordo è giunto a sfiorare il 15% del PIL mondiale, è evidente che a circolare liberamente nell’epoca della globalizzazione neoliberista non sono le persone, bensì la droga, le armi, la violenza e il capitale che queste generano. In Capitalismo gore, l’attivista e intellettuale messicana Sayak Valencia ricorre alla categoria cinematografica del gore per analizzare quello che definisce il lato B dell’economia globale, ovvero l’intreccio tra criminalità organizzata, narcotraffico e uso legittimato della violenza per ottenere status e potere. L’erosione dello Stato come organo che provvede al benessere della cittadinanza, la precarizzazione del lavoro e dell’esistenza unite al desiderio di partecipare al banchetto del consumo, la spettacolarizzazione della violenza operata dai media e una cultura machista fortemente ancorata all’identità nazionale, hanno generato una nuova classe sociale e un modello di vita che sembra rappresentare l’unica alternativa alla povertà e alla migrazione. Mettendo a nudo le radici storiche, economiche, geopolitiche e culturali di questo modello, Sayak Valencia invita a sovvertirlo da una prospettiva postcoloniale e transfemminista, per opporsi al suo regime di morte e resistere al divenire gore del mondo.