La vita fulminea di Arthur Cravan (1887-1918) è raccontata come un romanzo d’avventure la cui fonte principale, e inedita, è costituita dalla corrispondenza con la madre. Fin dalle scuole elementari in Svizzera Fabian Avenarius Lloyd – alias Arthur Cravan, dall’Artù della Tavola Rotonda e dal protagonista di una commedia del suo “irresistibile zio” Oscar Wilde – manifesta un temperamento scalpitante. A quindici anni parte per la California. A diciotto è a Parigi, dove frequenta la Closerie des Lilas, partecipa alle serate culturali con i cubisti e gli orfici Léger, Braque, Apollinaire, Villon. Conosce Duchamp, Breton, Picabia. Tiene conferenze, improvvisa spettacoli dal sapore dada in locali come Les Noctambules, balla, recita, fa boxing dance. Dalle pagine della rivista Maintenant!, che distribuisce personalmente su un carrettino da fruttivendolo, fa conoscere le sue vibranti, sfrontate poesie. Con lo scoppio della guerra, per evitare l’arruolamento si trasferisce a Barcellona e si dedica alla boxe, partecipando nel 1916 a un incontro con l’ex campione del mondo Jack Johnson. Le locandine presentano Cravan come un campione europeo: è una bufala. Il poeta cade al primo round ma riesce a incassare quanto basta per comprare un biglietto di sola andata sulla nave Montserrat diretta a New York e si imbarca a Cadice. Sempre più irrequieto e in vena di scandali, in alcune lettere alla madre dice di essere ammalato, ma la patologia rimane oscura: è fisica o mentale? Dopo aver viaggiato fra Washington, Baltimora, Philadelphia, incontra e sposa l’eccentrica artista femminista Mina Loy, con la quale attraversa il Messico in lungo e in largo prima di decidere di trasferirsi in Argentina. Mina è incinta. Per questo, al porto di Salina Cruz, sulla costa pacifica, decidono di separarsi per poi ritrovarsi a Buenos Aires. Partito in barca nell’autunno del 1918 non si seppe più nulla di lui.