Secondo un pregiudizio diffuso, la «cultura» sarebbe un tratto distintivo ed esclusivo di Homo sapiens. Proseguendo il lavoro innovativo avviato con Al di là delle parole, Carl Safina evidenzia l’infondatezza di quel luogo comune e mostra come, al contrario, il rapporto tra «innato» e «appreso» coinvolga le intelligenze e le competenze di molti «animali non umani». Safina demitizza infatti l’«unicità» di tante nostre facoltà o comportamenti paragonandoli a quelli di specie nascoste nelle profondità delle foreste pluviali o degli abissi oceanici: il che vale per gli strumenti tecnologici, per le capacità linguistico-musicali o per le cure e gli insegnamenti parentali, come riassume la lezione esemplare di certe scimmie antropomorfe o dei capodogli, presso i quali una neonata (in attesa di cibo nelle acque tiepide di superficie) e la madre (a caccia di calamari nei fondali gelidi) sono legate dal filo invisibile dei click dei sonar. Oppure, di fronte a uno stormo di are macao – vistosi pappagalli dalle code ondeggianti «simili a comete infuocate» -, riflette sul ruolo della bellezza quale motore segreto dell’evoluzione. In questa visione complessa e ramificata le varie specie da lui prese in esame non sono più dunque tessere intercambiabili del mosaico della vita, ma dimostrano la loro individualità irriducibile e insieme la loro contiguità rispetto all’uomo. Un’alterità/prossimità che Safina esplora in ogni sfumatura, cogliendone i punti di contatto e affrontando le vertiginose domande che ne scaturiscono. Senza però mai distogliere troppo il lettore da uno stato di perpetua meraviglia.