Altrove è una delle opere più felici di tutto questo secolo. Pubblicato nel 1948, in quasi sessant’anni ha preso sempre più sapore ed è diventato un libro senza tempo, come a pochi succede. Descrive paesi immaginari, come quelli evocati da antichi cronisti, da antichi viaggiatori fantastici. Molti di questi paesi però sono quelli delle nostre fissazioni, dei nostri vaneggiamenti morali. Ogni paese serve a descrivere un temperamento. Si sente l’eco d’una vocazione etnografica, che l’autore ha seguito in gioventù. Ma anche quando parla di paesi che ha visitato davvero, in altri libri molto insoliti, Michaux lascia andare le frasi dove vogliono loro: non le frena con l’avarizia dell’intellettuale che vuol sempre confermare le sue idee. Allora ogni frase diventa una acrobazia immaginativa, una specie di volteggio sul trapezio delle virgole. E tutte queste acrobazie sono comiche, naturali – «naturali come le piante, gli insetti, naturali come la fame, le abitudini, l’età, gli usi, le consuetudini…» In tutti i libri di Michaux la scrittura sembra qualcosa che viene fuori come una secrezione naturale, come la bava delle lumache, come la tela del ragno, come un porro sulla pelle, o come gli escrementi che ogni giorno evacuiamo. Si sente che non c’è mai il problema di dimostrare qualcosa, ma solo di lasciar fluire una secrezione che lascia tracce sulla pagina. Perciò a momenti è così rasserenante. Perché in lui non c’è niente dell'”artista creatore”, niente di queste pretese di serietà artificiale. Lui lascia andare avanti le frasi per vedere cosa si inventano. Ma mentre un mercato di professionisti ci scaraventa addosso mattoni con centinaia di pagine da leggere in fretta per arrivare alla fine inebetiti, Michaux spesso ci lascia lieti e sazi con poche righe. (Gianni Celati, 2005)