C’è stato un momento, nella vita di Pauline Oliveros, in cui le pratiche collettive alla base della sua sperimentazione artistica hanno smesso di poter essere definite «improvvisazioni»: la loro portata trasformativa chiedeva di essere riconosciuta, nominata, condivisa. Nascevano così le Meditazioni Sonore, depositarie dei semi da cui si sarebbe poi sviluppato il Deep Listening.
Concepite come pratiche di gruppo, trasmesse oralmente durante innumerevoli incontri prima di essere fermate sulla carta, tramandate di bocca in bocca, di corpo in corpo, come una notizia che è fonte di gioia, le Meditazioni Sonore costituiscono il più corposo lascito scritto di Oliveros, e comprendono esercizi di improvvisazione collettiva, dialoghi ambientali, esperimenti di telepatia ed esperienze immersive in cui tutte le forme di energia concorrono a dissolvere in musica il confine tra interno ed esterno, tra il presente dei suoni uditi, il passato di quelli ricordati, e il futuro di quelli immaginati. Quando una nota si scompone in frazioni infinitesimali o si dilata in un istante infinito, noi siamo il suono, siamo il tempo.
Nel panorama acustico contemporaneo, in cui al ronzio meccanico, alle frequenze elettriche, al boato dei motori si sovrappongono onnipresenti le esplosioni delle bombe, le Meditazioni ci insegnano a trovare la bellezza in luoghi inattesi, ad abbracciare la totalità delle armonie che ci avvolgono. Nella visione di Pauline – che è forse la sua eredità più preziosa – queste pratiche condivise costituiscono uno strumento in grado di portare bellezza, consapevolezza, cambiamento e pace non solo in noi stessi ma anche nel mondo.